Multitasking della pensione

Una signora che conosco, analfabeta digitale fino a sessant’anni, è ormai talmente convertita al multitasking che raramente segue i film con gli occhi. Finito il film può recensirlo in tre modi. Se non la coinvolge, dice che è una “cretinata”. Se parlano poco lo definisce “statico”. Il terzo commento è il migliore possibile: “Andrebbe visto una seconda volta per capirlo meglio”.

Non piangere sull’acqua versata: vai a votare

Due settimane fa mi è venuta l’idea per uno spot e l’ho postata su ecopiteco, in cerca di realizzatori.

I ragazzi di AdSimple mi hanno risposto che sarebbe diventata realtà.

Ecco qui lo spot.

Non potevo lavarmene le mani.

Essere-nel-planisfero: l’impotenza vista dal satellite

Essere-nel-planisfero non è Essere-nel-mondo. Succede se a ogni passo vedi il puntino di te che si sposta su una cartina geografica. Una visione satellitare della vita.

Essere-nel-planisfero ti costringe a scontare l’Anatomia dell’irrequietezza: Chatwin dice che siamo nati nomadi, avvolti in fasce intorno a madri camminatrici.

Poi viene un momento della vita in cui il problema non è essere nel posto sbagliato, ma non poter essere ovunque nello stesso momento. E conoscere tutte le coordinate di questa impotenza.

Mi piacerebbe essere un po’ più Google Street View, con l’omino all’altezza delle cose, e non sa che oltre al passeggiare ci sia qualche altra felicità.

I miei primi 150

Il primo l’ho visto a Forlì e ho detto: basta, lo faccio. Al polacco ho scattato la prima foto, ma immigrati tricolore ne vedevo da mesi. Ho imparato ad accorgermene con la coda dell’occhio. Per esempio a Palermo mentre la sera vagavo con lo zibibbo in mano.

Di solito dicono di sì. Sono anche contenti. Qualcuno invece risponde: “A me non piacciono le fotografie”. Per esempio il cinese in piazza Vittorio a Roma, seduto proprio dietro di me (com’è che non l’ho visto prima?). Alcuni danno una spiegazione: “Certo che a me piace l’Italia. Sono qui da ventun’anni. Io non sputo nel piatto in cui mangio”. Oppure domandano perché questa foto. “Giornalista?” “No, Arte”. Il marito filippino non capiva e la moglie mi ha detto: “Sì, sì”. Quando trovo un gruppo, finisce spesso a risate perché gli amici canzonano l’immigrato tricolore come se un giorno diventerà famoso.

C’era un ragazzo che non parlava l’italiano e non parlava nessuna lingua, ma era contento a borbottii. Un marocchino ha detto che Berlusconi sarà molto contento per queste foto. Uno mi ha chiesto: “Perché non fotografi anche me?”. “Tu non ce l’hai la bandiera dell’Italia”, gli ho detto. Qualche secondo dopo mi corre dietro perché ne ha trovata una in un angolo della felpa.

I coriandoli di Carnevale rendono più difficile l’individuazione del tricolore. Piazza Maggiore a Bologna era così variopinta che non distinguevo i colori giusti. A Reggio Emilia aumenta il conflitto visivo per causa di tutte quelle bandiere tricolore che addomesticano le strade come una specie di tetto, esposte per celebrare la Città del Tricolore.

Ma tutte le città ne sono piene – e chissà come lo saranno le campagne! – di tanti minuscoli immigrati tricolore che portano in giro la bandiera come formiche, tutti belli nei sorrisi bianchi e fieri e poi da qualche parte quel tricolore, un fatto sempre troppo grande perché nessuno se ne accorga.

Ne ho visti così tanti e li ho visti anche nei sogni come quando stai troppo tempo a un videogioco e la vista si impressiona.

Pure l’idraulico di casa mia era un immigrato tricolore.


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Non so se voglio l’i-phone

Io me lo ricordo quando mia madre mi ha regalato il primo cellulare. Ero a Berlino, era venuta a trovarmi, mi sono messa a piangere che il cellulare non lo volevo. Volevo difendermi da lei e dal controllo e dalla tecnologia, calciando a vuoto per mezz’ora per poi mettermelo nelle tasche.

Ora non so se voglio l’i-phone. Essere connessa mentre sono in fila alla cassa. Di solito passo il tempo a fissare la gente. Cosa potrebbe succedermi se smetto di farlo?

Prima dovrò fare una lista per gestire le perdite di tempo che ci tengo a salvaguardare (esiste un’applicazione?).  Avrò un sacco di tempo in più, con l’i-phone. Poi dovrò concentrarmi per mantenere le buone intenzioni anche nei momenti di debolezza, usarlo con moderazione. Ma non so se mi sentirei abbastanza fuori pericolo passeggiando con la connessione.

E niente. Crescere significa difendersi prima di tutto da se stessi.

Aggiungi la Libia

Un ascoltatore arabo, in una trasmissione radiofonica italiana:

“Mi dispiace vedere che quanto sta accadendo nei nostri paesi – il cambiamento storico che è in corso, la rivolta della gente e i giovani disposti a morire in nome della democrazia – qui venga percepita principalmente come possibile invasione via mare, esodo biblico di persone che potrebbero arrivare sulle coste”.

Facilitazioni per normodotati: i comfort fra le ruote

Nello scontro epocale fra memoria individuale e accesso veloce alla memoria collettiva, vince il secondo. Sempre meno importante ricordare, sempre più semplice trovare l’informazione cercata.

Da qualche mese Google suggerisce le parole probabili nella casella di ricerca. Una facilitazione da tempo in uso tra i soggetti con difficoltà di scrittura; un servizio aggiuntivo per i normodotati. Un punto per la velocità, uno in meno per la memoria. Sempre meno fatica per tutti. Sempre meno normodotati.

La facilità, mito o bersaglio. Succede a ogni scatto di comfort: il nuovo è patinato, il vecchio si tinge di veracità e pare più sincero.

Qualcuno ricorda con nostalgia quando internet era meno veloce. Strano ma vero! C’è quasi un senso di colpa nella conquista della velocità. Un secondo in meno è un lusso evitabile? Qualche piccol sacrificio ci assicura il Paradiso?

Che poi, a leggere di seguito i suggerimenti di Google, vengono fuori delle bellissime canzoni.

Lunga vita ai messaggi ricevuti

Sempre con molta gelosia ho custodito le mie parole solitarie, sembrandomi poche ma buone. Con altrettanta dedizione ho tenuto copia dei messaggi ricevuti, perché pensati e scritti per me. Lasciando invece che le impostazioni predefinite del cellulare mi facessero perdere traccia di quelli inviati.

Nei messaggi ricevuti ricostruisco l’ordine dei fatti. Non so come immaginare il momento in cui li rileggerò: li conservo per qualsiasi evenienza. Serviranno per ritrovare la memoria? Consolarsi della morte imminente o affondare del tutto? Chi vive nell’eventualità più che nell’evento, non si chiede mai seriamente perché, perché preoccuparsi di salvare cose che non servono.

Non so ancora dove li rileggerò, al bar o su una panchina, se ci sarà una panchina. Quale sarà il momento propizio che darà un senso a questa storia di meticolose raccolte di giovinezza.

Ma quel giorno, i miei messaggi inviati non verranno a incalzare. Nelle vostre parole avrò il gusto di leggere dichiarazioni spontanee, risposte senza domande, verità senza dubbi. Saranno inspiegabili dimostrazioni di affetto venute dal passato, per cui già ora miei cari vi ringrazio.